Il cinema di Nino Martoglio e Giovanni Grasso nei primi decenni del ‘900

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Nel centenario dalla morte di Nino Martoglio – avvenuta a Catania il 15 settembre del 1921 – si vuole ricordare il grande commediografo, poeta e cineasta di Belpasso (Ct) nella sua attività forse meno conosciuta: quella di sceneggiatore, regista e produttore di film muti tra il 1913 e il ‘17, due dei quali interpretati da Giovanni Grasso, il grande attore drammatico catanese.

Il cinema di Nino Martoglio e Giovanni GrassoQuando Nino Martoglio e Giovanni Grasso si incontrarono per la prima volta, il cinema non c’era ancora, perlomeno non in Sicilia. Il giovane Giovanni rappresentava spettacoli di pupi siciliani al Teatro Machiavelli, nei pressi di Piazza Università a Catania, ma a volte tuttavia s’improvvisava anche attore. A vedere uno di questi spettacoli una sera di aprile del 1894 capitò proprio il ventiquattrenne Nino Martoglio, giornalista, commediografo e direttore del giornale satirico “Il D’Artagnan”, insieme all’attore Ernesto Rossi. Ambedue furono colpiti dalla potenza espressiva del puparo, e mentre il Rossi gli consigliava di intraprendere la carriera di attore in lingua italiana, Martoglio invece vide in lui il mattatore in dialetto e riuscì a convincerlo a diventare il perno della sua Compagnia Teatrale Siciliana, da lui progettata già da diverso tempo, e fatta poi nascere ufficialmente nel 1903.
Per ben due anni la neonata compagnia di attori dialettali calcò le scene dei teatri di tutta Italia, mietendo ovunque successi. Non mancarono tuttavia i contrasti fra il Grasso e il Martoglio che – complici anche altri motivi, in primo luogo quelli finanziari – portarono per ben due volte allo scioglimento della compagnia, nel 1903 e nel 1904. Martoglio giudicava infatti il mattatore troppo irruento e focoso, ed in effetti Giovanni Grasso, già dotato dalla natura di una voce potente e di una maschera espressiva al posto della faccia, non aveva dimenticato i pupi. Una volta lasciati definitivamente i cavi di manovra dei burattini siciliani, per istinto continuava a muoversi sulla scena con la stessa passione e la stessa forza di un paladino di latta, anche quando si trovava di fronte non i saraceni bensì compare Turiddu ad insidiargli la sua Lola nella “Cavalleria Rusticana” di Verga. Significativo è quanto scrisse lo stesso Martoglio a proposito della sua arte: “… In lui è rimasto il linguaggio eroico delle marionette, appreso dal padre, don Angelo…. Così don Giovanni Grasso, oggi cavaliere e grande artista per consenso universale, ha conservato nella sua voce robusta qualcosa dell’enfasi dei suoi guasconi d’abete e, nell’andatura, negli atteggiamenti e persino nelle azioni della vita, quello spirito di esagerata cavalleria spagnola, che in lui talvolta rasenta il grottesco…”.
Dal 1904 le vie dei due protagonisti in campo teatrale si divisero, per poi ricongiungersi temporaneamente nel 1914 nel cinema. Il Grasso infatti continuò da solo con la propria compagnia a girare i teatri della Sicilia, dell’Italia, ed anche del resto del mondo (Spagna, Sud-America, Francia, Inghilterra, Russia) riportando ovunque grandi successi. Mentre era in tournée in Argentina nel 1909, il mattatore catanese interpretò il suo primo film, una prima versione della Cavalleria rusticana di Verga girata dal regista Mario Gallo. Tre anni dopo nel 1912 girò – in Italia, nei dintorni di Roma – anche un’altra pellicola insieme al regista Raffaele Viviani, Un amore selvaggio, ambientata in una masseria. Miracolosamente ritrovato in Olanda nel 2005, e opportunamente restaurato, il film ci presenta un Giovanni Grasso sobrio e misurato nella parte del figlio del padrone, tutto il contrario insomma del suo carattere focoso.
L’anno successivo, nel 1913, anche Nino Martoglio entra nel mondo del cinema. Il commediografo di Belpasso (Ct) nel 1896 aveva già salutato con entusiasmo sulle pagine del suo giornale, “Il D’Artagnan”, l’arrivo a Catania delle primi apparecchi cinematografici – non dei fratelli Lumiere, ma quelli di Edison, più rudimentali – portati dall’impresario Giuseppe Lentini. Nel 1913 appunto ebbe l’opportunità di lavorare per la casa cinematografica Cines di Roma che convertì in pellicola alcuni suoi soggetti drammatici. Il primo, dal titolo Il romanzo, la cui regia fu dello stesso Martoglio, venne interpretato nel ruolo di protagonista da Pina Menichelli, una bella attrice nata in provincia di Messina, che per il suo tipo di recitazione “troppo passionale” (secondo la definizione dell’epoca) in questo ed in altri film incappò spesso nelle prime forme di censura da parte dell’allora governo Giolitti. A questa prima pellicola, nel medesimo anno 1913, ne seguirono altre, sempre tratte da soggetti di Martoglio, quali ad esempio Il gomitolo nero, Il tesoro di Fonteasciutta, Il salto del lupo o La castellana di Ninfa, probabilmente diretti dal medesimo commediografo di Belpasso.
Come da suo carattere intraprendente, in quello stesso anno 1913 Martoglio decise di fondare a Catania una sua casa di produzione, la “Morgana Films”. Proprio in quel periodo anche a Catania, così come già in altre città siciliane, stavano per nascere le prime case cinematografiche, come la “Etna Film” di Alfredo Alonzo, un grosso imprenditore dello zolfo che vedeva nel cinema grosse opportunità di guadagni. Probabilmente proprio per contrasti con questa casa di produzione – ufficialmente fondata il 31 dicembre del 1913 – con cui aveva inizialmente prospettato una forma di collaborazione, Martoglio senza aver girato ancora nulla, nello stesso anno trasferì la sua Morgana Films a Roma. E nella capitale diede vita ai suoi progetti cinematografici, coinvolgendo come interprete principale proprio il suo vecchio amico Giovanni Grasso.
Il cinema di Nino Martoglio e Giovanni GrassoIl primo film della neonata casa di produzione, girato nel 1914 ed uscito nelle sale nel medesimo anno, fu Capitan Blanco tratto da un soggetto dello stesso Martoglio, “‘U Paliu” (Il Palio). Caratterizzata da molte riprese in esterni, nel deserto libico, in mare e nel paesaggio costiero della Riviera dei Ciclopi a nord di Catania, la pellicola era imperniata sulla figura di Matteo Blanco (Giovanni Grasso), capitano di nave con molte disavventure alle spalle. Una volta diventato sindaco di Acicastello, per sventare una tresca tra la moglie Marta (Virginia Balistrieri) e un doganiere del paese, fa esplodere addirittura una mina al passaggio dei due, uccidendo il rivale e ferendo anche la moglie.
Se il film a giudicare dalle cronache dei giornali venne generalmente apprezzato sia dal pubblico che dalla critica, non mancarono tuttavia voci discordanti, come quella del critico Pier da Castello su “La vita cinematografica” (Torino, 7-22 novembre 1914), che definiva il film un fallimento anche per l’impossibilità di Giovanni Grasso di esprimersi con la sua voce. Ma in realtà il grande mattatore drammatico catanese riusciva a sopperire egregiamente, soprattutto con la sua maschera tragica e la sua irruente mimica, ai limiti tecnici del cinema muto. E lo si vide benissimo nel successivo film che Grasso e la Balistrieri girarono nel medesimo anno, e sempre sotto la regia di Martoglio, ovvero Sperduti nel buio, il quale si rivelò, a detta dei critici contemporanei e successivi, il più grande capolavoro verista nella storia del cinema muto.
Il cinema di Nino Martoglio e Giovanni GrassoMentre Martoglio infatti all’inizio del 1914 era ancora completamente impegnato a girare Capitan Blanco, un suo omologo partenopeo, anch’egli giornalista e drammaturgo verista, Roberto Bracco, cedette alla Morgana Fims i diritti di sfruttamento di un suo celebre lavoro teatrale, appunto “Sperduti nel buio”. È la storia di Paolina, una povera ragazza nata da una fugace relazione di un nobile dongiovanni napoletano, Paolo, Duca di Vallenza, con Maria, una sfortunata operaia senza lavoro. Costretta a vivere una vita misera nei bassifondi di Napoli la giovane trova conforto morale e sostegno in Nunzio, anch’egli mendicante e suonatore di violino, il quale nonostante sia cieco riesce a proteggerla anche fisicamente dai malviventi e dagli sfruttatori di quell’ambiente povero e malsano. Nel frattempo il Duca, anziano e malato, dopo aver confessato alla sua cinica amante Livia di avere una figlia dispersa da qualche parte, ricorda i suoi inutili tentativi di ritrovarla molti anni prima. Poi quella sera stessa muore dopo aver lasciato tutto alla sua avida compagna. Ignari di tutto intanto Nunzio e Paolina, dopo essere sfuggiti per l’ennesima volta alle grinfie della malavita, vagabondano ancora uniti alla ricerca di un mondo più giusto.
Se il ruolo del cieco Nunzio venne affidato a Giovanni Grasso, Paolina venne interpretata da Virginia Balistrieri. Il film, col medesimo titolo del dramma teatrale, venne girato a Roma e a Napoli, ed uscì nelle sale nel settembre del medesimo anno 1914.
Analogamente alla sua versione teatrale, anche il film ottenne un clamoroso successo di pubblico e di critica in ogni parte d’Italia (a Catania venne proiettato nell’elegante Cine Teatro Olympia), con frequenti applausi e ovazioni. L’esperienza e la bravura dei due protagonisti, in primo luogo di Giovanni Grasso, fornirono qualità di autentico verismo alla storia ed ai personaggi medesimi. A questo proposito anche “L’Illustrazione cinematografica” del 5 ottobre 1914 scrisse che Sperduti nel buio mostrava “…tale palpito di vita, tale verità di ambienti popolari e principeschi, tale efficacia di espressione scenica, tale intensità drammatica ed al tempo stesso tale semplicità di svolgimento, tale senso di umanità da farci scambiare lo schermo per un lembo di vita reale”.
Ad esaltare il verismo del film, intervenne inoltre anche una geniale invenzione del Martoglio sceneggiatore, ossia quello che oggi viene chiamato in termini cinematografici il “montaggio per contrasto”. In diversi momenti della pellicola, il regista di Belpasso alternò scene di feste signorili, alle quali partecipava il ricco padre di Paolina, a scene di squallida e triste miseria, l’ambiente dove cercavano di sopravvivere i due poveri protagonisti. Fu questa una delle più significative differenze tra la pellicola e la versione teatrale dove il cambiamento di ambiente si ha solo tra un atto e l’altro. Analogo discorso può essere fatto anche a proposito del sapiente uso di dissolvenze per esaltare i “flashback”, lì dove ad esempio il Duca maturo e già ammalato ricorda l’incontro di molti anni prima con la madre di Paolina, la successiva scoperta di essere il padre della piccola ed i suoi inutili tentativi di ritrovarla nei bassifondi di Napoli.
Il risultato artistico fu certamente quello di una maggiore esaltazione realistica dell’ambiente misero e degradato della Napoli povera, e delle condizioni drammatiche di Nunzio e Paolina. Ma anche il messaggio sociale veniva amplificato da questo nuovo linguaggio cinematografico, in un’epoca nella quale, sullo sfondo della Prima Guerra Mondiale appena iniziata, i conflitti sociali, gli scioperi e le forti polemiche dell’ambiente culturale di sinistra erano già quotidiana amministrazione. Come si esprime Franco La Magna: “Sperduti nel buio, dal lavoro di Roberto Bracco, (definito “l’Ibsen di Piedigrotta”) impressionò talmente – con la sua tragica contrapposizione di due classi sociali drammaticamente a confronto, la dolente e tormentata figura del cieco Nunzio (simbolo del “buio sociale”) e della povera Paolina figlia abbandonata d’uno spiantato e nobile dongiovanni, la rappresentazione di una Napoli miserabile e cenciosa, sordida e maleodorante – da indurre gli storici e critici del cinema (primi fra tutti il severo acese Umberto Barbaro) a definire l’opera di Martoglio antesignana del realismo cinematografico; di essa si parlerà a lungo nel secondo dopoguerra quando, in piena stagione neorealistica, si esploreranno le deboli tracce della tradizione realistica. Tutto il cast ebbe un’ovazione di consensi, sebbene, schiacciato dal vincente dannunzianesimo e dai kolossal storico-mitologici, il film viene presto dimenticato, godendo paradossalmente d’una esaltante gloria postuma…” (da: F. La Magna, Cento anni di Cinema a Catania (1895-1995), p. 29).
Il cinema di Nino Martoglio e Giovanni GrassoLa geniale trovata del “montaggio per contrasto”, che si riscontra anche ad esempio, a livello scenografico, nel sapiente alternarsi di interni ed esterni, in ogni caso fece scuola e venne ripresa sia dai cineasti russi, come Pudovkin e Eizenstein, sia dai registi di Hollywood, come Griffith. Ma nonostante costituisca una pietra miliare nella storia del cinema, Sperduti nel buio purtroppo è andato perduto nel corso della Seconda Guerra Mondiale. L’unica copia esistente al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma dove veniva studiata dagli allievi cineasti, venne infatti trafugata, insieme a molti altri film, dai tedeschi in fuga dalla città nell’autunno del 1943. Nonostante i tentativi di recuperarla dalla Germania sia prima che dopo la fine della guerra, di quella copia fino ad oggi non se ne sa nulla.
Una volta terminate le riprese di Sperduti nel buio le strade di Martoglio e di Grasso si divisero definitivamente. Quest’ultimo fino alla fine degli anni ‘20 alternò ai successi teatrali con la sua compagnia, specie all’estero, anche l’interpretazione di almeno altri 12 film muti, tra i quali: Malapasqua (1919), Il dramma d’amore (1920), Malafemmina (1923), un’altra versione della Cavalleria Rusticana (1924), e nel 1926, Il Cavalier Pedagna, ambedue questi ultimi, di Mario Gargiulo.
Martoglio invece sempre nel 1915 girò un ultimo film con la sua casa di produzione, Teresa Raquin, la cui trama, tratta da un romanzo di Emile Zola, verte su di un tema poi divenuto classico nella successiva storia del cinema, quello del drammatico triangolo moglie-amante-marito e la tragica fine di quest’ultimo per mano dei due amanti. Di lì a poco tuttavia l’improvvisa scomparsa del produttore della Morgana Films, Roberto Danesi, sconvolse oltre che il morale anche i progetti dello stesso Martoglio che avrebbe voluto girare altri film a carattere drammatico e verista di autori di un certo rilievo, come Verga e Pirandello. Andata già in crisi nel 1915, ufficialmente la Morgana Films venne poi sciolta nel 1918.
Il grande commediografo di Belpasso, che persino durante i suoi impegni cinematografici aveva trovato il tempo di continuare a scrivere commedie, fino alla sua morte si diede (quasi) completamente al teatro.
Il cinema di Nino Martoglio e Giovanni GrassoNel 1917 però ebbe un’ultima occasione di tornare alla settima arte e ricavò una sceneggiatura cinematografica dal suo “San Giovanni Decollato” aderendo ad un progetto che coinvolgeva anche Angelo Musco come protagonista. In sostanza il facoltoso conte milanese Alessandro Panzetti stipulò un contratto col Martoglio e l’attore comico catanese per la produzione di quattro pellicole a cominciare proprio da quella commedia. Il film venne girato a Catania e diretto da Telemaco Ruggeri, attore e regista umbro non eccelso secondo la critica. La pellicola infatti risultò un fiasco ed il conte produttore milanese indispettito annullò unilateralmente il contratto. Martoglio e Musco l’anno successivo portarono la causa in tribunale che si trascinò addirittura fino al 1928, ben 7 anni dopo la morte del commediografo e cineasta di Belpasso.
Si racconta che in un giorno d’estate del 1886, a Trieste, Martoglio ancora giovane aveva chiesto a una zingara di leggergli la mano e questa gli aveva predetto che sarebbe morto verso i cinquant’anni in modo drammatico. Come suggerisce Santi Correnti, forse fu proprio in seguito a questo episodio che – nonostante possedesse il brevetto di Capitano di Lungo Corso – aveva preferito la carriera letteraria a quella marittima, temendo di naufragare e annegare. Dopo essere sopravvissuto a ventuno duelli – come affermò lui stesso – in uno dei quali si era guadagnato anche una sciabolata alla giugulare, alla fine si era convinto di averla scampata dopo aver passato i cinquant’anni. Morì invece il 15 settembre 1921, a 51 anni, cadendo nella tromba dell’ascensore fuori servizio dell’Ospedale Vittorio Emanuele di Catania, subito dopo il ricovero del figlio tredicenne Luigi Marco.
Giovanni Grasso invece visse per altri nove anni, impegnandosi come si è detto in trionfali tournée in America ma con la sua potente voce che diventava sempre più rauca – oltre che per gli sforzi delle recite, certamente anche a motivo della sua passione per i sigari – fino a fargli perdere la stima del pubblico. Per ironia della sorte, il più grande attore, oltre che teatrale, anche del cinema muto, morì improvvisamente di ictus il 14 ottobre del 1930 a Catania il giorno dopo aver assistito alla proiezione del primo film sonoro della storia del cinema, Il cantante di Jazz.

Fonti:

AA. VV. Il teatro e i teatranti siciliani nel cinema, Ass. Reg. ai Beni Culturali e P. I., Catania, 1981.
Barbina, A., Sperduti nel buio, Nuova Eri, Torino 1987.
Correnti S., Le opere e i giorni di Nino Martoglio, Ed. Banco di Sicilia, Fondazione Mormino, Palermo 1970.
La Magna, F., Cento anni di Cinema a Catania (1895-1995), Edizioni Ediprom, Catania, 1995.
La Magna, F., Lo schermo trema. Letteratura siciliana e cinema, Città del sole, 2010.
La Magna, F., La Sfinge dello Jonio. Catania nel cinema muto (1896 – 1930), Algra Editore.

Testo di Ignazio Burgio. La prima immagine ritrae Nino Martoglio. La seconda è un fotogramma (con Giovanni Grasso) del film “Capitan Blanco”. Le due successive presentano Giovanni Grasso e Virginia Balistrieri in “Sperduti nel buio”. Nella quinta, Dillo Lombardo (Il Duca di Vallenza) e Maria Carmi (la sua amante Livia Blanchardt) sempre in “Sperduti nel buio”. L’ultima infine è un fotogramma con Angelo Musco protagonista del film “San Giovanni Decollato”. Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2021.

Per saperne di più sull’epoca del cinema muto a Catania e dintorni:


Un catanese con Hitchcock
La SFINGE DELLO JONIO. Catania nel cinema muto (1896 – 1930)
di Franco La Magna
Algra Editore
Pagine 356


GIOVANNI VERGA E IL “CASTIGO DI DIO”.
Per una storia dei rapporti tra cinema e narrativa,
di Franco La Magna
Algra Editore


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