La basilica di San Leone ad Assoro, cittadina medievale in provincia di Enna – di antiche origini sicule e poi greche – oltre a rivelarsi come un vero gioiello di architettura, contiene opere d’arte che presentano simboli medievali e rinascimentali, alcuni dei quali forse risalenti all’antico culto della dea Demetra.
L’inizio della costruzione dell’edificio religioso risale al 1186, anno di matrimonio dell’ultima discendente dei re normanni, Costanza d’Altavilla e signora di Assoro con Enrico VI di Svevia, figlio di Federico I Barbarossa. Sul luogo dove si decise di costruire la chiesa, destinata ad avere funzione di cappella di palazzo (o palatina), esisteva un antico tempio pagano trasformato in epoca cristiana in cripta o luogo di sepoltura paleocristiana. Alla fine del ‘400 la chiesa venne restaurata, con l’aggiunta di elementi di stile catalano, su commissione dei Valguarnera, a cui apparteneva il feudo di Assoro. Nel 1492 venne elevata al rango di chiesa madre della cittadina, e nel 1499 venne consacrata come basilica minore.
La struttura dell’edificio religioso si presenta a croce latina, suddivisa in tre navate, e con uno stile in prevalenza gotico arabo-normanno (quello dell’epoca di edificazione della chiesa). L’esterno è piuttosto semplice, con un aspetto che ricorda più lo stile romanico che il gotico (i portali d’ingresso presentano archi che non si possono definire “a sesto acuto”, bensì quasi perfettamente semicircolari). All’interno tuttavia si manifesta tutta la magnificenza dello stile arabo-normanno con tanto di decorazioni dorate. La navata centrale è separate dalle altre due laterali tramite colonne a spirale (o tortili) decorate in avorio e oro. Il transetto (la parte trasversale della pianta a croce) è rialzato, così come anche l’abside (dove risiede l’altare principale). Quest’ultimo oltre che decorazioni dorate, contiene anche un gruppo marmoreo realizzato nel 1515 dall’artista palermitano Antonello Gagini, uno dei maggiori scultori siciliani (1478 – 1536).
Tra le sculture che lo compongono, risaltano nella fascia centrale, all’interno di nicchie sormontate da una conchiglia (simbolo di pellegrinaggio terreno) cinque figure, quattro delle quali sono statue di santi: San Leone Taumaturgo, quindicesimo vescovo di Catania (dove morì nel 785) a cui è dedicata la basilica; San Leone II papa; San Benedetto da Norcia in omaggio ai monaci benedettini che evangelizzarono Assoro; e San Placido martire. Al centro di essi vi è la statua della “Madonna che libera dall’Inferno”, di dimensioni maggiori. Mentre essa con una mano sorregge il Bambino Gesù, con l’altra tiene un melograno, simbolo – secondo l’interpretazione più comune – delle grazie elargite non solo ai fedeli, ma anche ai moribondi e ai defunti per la loro salvezza. Tuttavia la presenza di questo frutto fa sospettare che la sua figura sia in realtà un’assimilazione cristiana di un culto pagano molto seguito nel territorio ennese prima del successo del cristianesimo, ovvero quello di Demetra dea della natura e delle messi, e di sua figlia Persefone, o Kore. Secondo il mito classico, quest’ultima venne rapita dal dio degli Inferi Ade e condotta nel suo regno sotterraneo. Poichè la madre Demetra profondamente addolorata minacciava di rendere sterile la terra, Zeus ordinò ad Ade di liberarla. Quest’ultimo acconsentì ma prima di congedarla le fece mangiare con l’inganno alcuni chicchi di melograno per indurla a tornare per sei mesi l’anno nel suo regno infernale. Nell’antichità classica dietro questo mito si nascondeva il tentativo – da parte di una civiltà geocentrica che non conosceva ancora le verità astronomiche legate all’orbita terrestre – di spiegare l’alternanza delle stagioni. Simboli come i chicchi di melograno, di colore rosso come il sole all’alba e al tramonto, erano legati agli equinozi, momenti di passaggio dall’inverno alla primavera e dall’estate all’autunno, ovvero dalla cattiva alla bella stagione e viceversa.
Sempre del Gagini sono all’interno della basilica anche il fonte battesimale, l’acquasantiera e il crocifisso principale “in mistura”, cioè realizzato con un composto di tela, gesso, colla e cartapesta su una struttura di assi di legno. Il soffitto è in legno del tipo cosiddetto “a capriate”, ovvero con travature rinforzate.
Altri due elementi artistici, con simboli densi di significato, presenti nella chiesa sono due crocifissi dipinti da due pittori siciliani (i cui nomi si sono persi). Il primo della seconda metà del Quattrocento è meglio conservato, mentre l’altro dell’inizio del ‘500 è invece piuttosto rovinato, ed è dipinto da entrambi i lati: sul retro infatti è presente Cristo risorto. La novità artistica di dipingere anche il retro del crocifisso ebbe inizio in Sicilia proprio nella prima metà del XV secolo. Su ciascuno di essi, al di sopra dell’acronimo INRI, si trovano rappresentati un serpente e, sopra di esso, un pellicano che col suo becco si squarcia il petto per nutrire col suo sangue i suoi pulcini. Sul crocifisso quattrocentesco il serpente è attorcigliato al tronco dell’albero della conoscenza (nel famoso Giardino dell’Eden) sulla cui chioma poggia il nido del pellicano e dei suoi pulcini.
Il significato simbolico della presenza dei due animali è quello della redenzione dell’umanità dal male (il serpente). Il pellicano si riferisce infatti al sacrificio di Cristo in croce e al vino dell’eucaristia trasformato nel suo sangue come nutrimento di salvezza per i fedeli (i pulcini del pellicano). Sembra che quest’uccello sia stato acquisito come simbolo cristologico a partire da un inno eucaristico – “Adoro te devote” – attribuito da alcuni a San Tommaso d’Aquino, e composto ad Orvieto in occasione della solennità del Corpus Domini nel 1264. È presente anche nella Divina Commedia dove Dante chiama Gesù “il nostro Pellicano” (Paradiso, XXV, 112). Secondo l’interpretazione più accreditata, il fatto che i pellicani mentre danno da mangiare ai loro pulcini rivolgono il loro becco verso il proprio petto, avrebbe indotto i cristiani del medioevo a credere che si ferissero la pelle per nutrire col loro sangue i propri piccoli.
Sia il serpente che il pellicano a partire dagli ultimi secoli del medioevo vennero utilizzati come simboli nell’arte sacra anche in Sicilia, dove oltre a quelli di Assoro si trovano altri crocifissi dipinti con serpente e pellicano anche nelle chiese di Piazza Armerina, Enna, Agira, e di altre città. A Piazza Armerina vi era una bottega pittorica che realizzò alcune di queste opere, tra le quali il crocifisso quattrocentesco, quello meglio conservato.
In seguito al famoso terremoto del 1693 in Val di Noto, anche la basilica subì alcuni danni, e in occasione del restauro vennero inseriti alcuni stucchi in stile barocco. Nel 1933 la basilica venne dichiarata monumento nazionale.
VIDEO: La Basilica di San Leone ad Assoro (di GP2900).
Fonti
Sito web del comune di Assoro, pagina dedicata alla basilica
Basilica di San leone ad Assoro, su Wikipedia.org
Maria Concetta Di Natale, Il Crocifisso nelle chiese francescane in Sicilia: dalla croce dipinta tardo-gotica alle sculture in legno e in mistura della Maniera, 2013, in: iris.unipa.it/handle/10447/96153
Come raggiungere Assoro. La maniera più comoda per raggiungere la cittadina è in auto: dall’autostrada A19 Catania-Palermo uscire allo svincolo di Mulinello e proseguire lungo la statale 121. Seguire le indicazioni per la provinciale 33 e raggiungere quindi Assoro (distanza dall’autostrada: 15 Km).
Testo di Ignazio Burgio. Foto di Giancarlo Burgio, all’infuori dell’immagine iniziale e della foto dell’abside con crocifisso sospeso entrambe di Effems e provenienti da Wikipedia. Articolo pubblicato il 10 dicembre 2022.