I primi due livelli, pian terreno e primo piano, sono ricoperti da un tetto “ad ombrello” i cui gotici “cordoloni” terminano su mensole fissate a metà muro o anche su semicolonne (al primo piano) con i tradizionali ornamenti vegetali. Al di sotto del pavimento del pian terreno – ricoperto da una moderna copertura di vetro – è visibile un’antica cisterna ancora inesplorata. Nella parete ovest è inserita una scala a chiocciola di 98 gradini tramite la quale si accede ai piani superiori. Questa scala è stata restaurata in tempi moderni dopo che nel XVIII secolo venne volutamente demolita. Pare infatti che dopo il suo abbandono la Torre fosse diventata meta di furtivi incontri amorosi e le autorità ecclesiastiche di allora presero dunque una decisione così estrema (evidentemente meno onerosa che non murarne l’accesso).
Attualmente il secondo piano ha un tetto di “cielo e di stelle” nel senso che è letteralmente spalancato ai venti. In origine tuttavia doveva avere una copertura. Nel muro che è rimasto – alto più di tre metri, ma, grazie ad una pedana, attualmente ridotto a “parapetto” al fine di consentire di ammirare il favoloso panorama – si possono ancora vedere quattro mensole: sono le estremità di altrettanti costoloni gotici volti evidentemente a sorreggere un tetto probabilmente di stile e forma analogo agli altri due sottostanti. Un esperto di castelli svevi, Giuseppe Agnello, propose l’idea che il tetto originario fosse una cupola emisferica con un foro al centro affinchè potesse servire come osservatorio astronomico. Ma gli studi architettonici successivi, che hanno tra l’altro identificato in un grosso frammento quel che resta della chiave di volta originaria, hanno teso a smentire questa ricostruzione. Nulla invece esclude che vi fossero finestre, aperture e feritoie anche a scopo difensivo, come dimostrerebbero i resti di corridoi appositamente studiati per gli arcieri. Tuttavia più di uno studioso rimane dell’idea che la funzione – e la stessa finalità costruttiva – della Torre di Federico andasse ben oltre i semplici scopi militari, e potesse essere utilizzata anche per osservazioni astronomiche e rilevamenti geografici.


Il primo enigma è dunque proprio questo: in un’età come il secolo XIII nel quale non esistevano i satelliti, in cui le mappe geografiche erano ancora rozze e imprecise e perfino la stessa bussola aveva appena fatto la sua comparsa in Europa, chi e come fra i geografi al seguito dei sovrani svevi era riuscito a stabilire con un “errore” (sicuramente voluto) di poche centinaia di metri il centro dell’isola più grande del Mediterraneo ?
Un altro mistero riguarda la forma medesima della Torre. Non sono molti i monumenti svevi di forma ottagonale. In Puglia oltre al famosissimo Castel del Monte esiste per esempio una torre simile anche nella Chiesa di San Michele sul Gargano. Tuttavia dal punto di vista strettamente strategico e militare, riuscire a difendere dagli assalti una torre di forma ottagonale era un po’ più difficile rispetto ad una perfettamente cilindrica, poichè nel primo caso gli angoli potevano togliere un certo margine di visuale agli arcieri, specie se tiravano dalle feritoie, mentre nel secondo caso la “linea di tiro” era letteralmente “a tutto tondo”.


Proprio in quegli stessi anni in cui venne edificata la Torre di Enna, altri castelli in Sicilia e nei domini di Federico II venivano costruiti con torri perfettamente cilindriche, come ad esempio quelle del Castello Ursino a Catania, secondo stili e tecniche ereditate direttamente dalle fortezze arabe. Dunque non sarebbe stato difficile agli esperti architetti (o “protomagistri”) di Federico II costruire anche ad Enna una torre di forma circolare ammesso che le uniche finalità fossero state unicamente quelle militari e difensive. Evidentemente altri motivi, probabilmente simbolici, fecero optare per un’architettura ottagonale, anche a costo di penalizzare, perlomeno in teoria, le priorità strategiche.
In età medievale insieme alla torre federiciana di Enna vennero edificati in italia e nel resto d’Europa molti altri monumenti, specie ecclesiastici, dalla forma ottagonale. Chiese, battisteri, labirinti sui pavimenti delle chiese francesi, ecc. intendevano esprimere con la loro geometria basata sul numero 8 un ben preciso significato simbolico e spirituale. Per il cristianesimo medievale dallo spirito ascetico, il numero otto simboleggiava infatti la Redenzione e la Resurrezione, la fine dei tempi e la vita eterna, dopo il ritorno del Salvatore. La domenica era infatti considerata l’ottavo giorno cristiano dopo il sabato, settimo giorno della settimana ebraica. Ma in realtà, così come le architetture di forma ottagonale non nacquero nel medioevo, il concetto risale a tempi molto antichi.
La suddivisione dell’orizzonte celeste in otto parti fondata sia sui quattro punti cardinali sia sulle albe e i tramonti dei solstizi invernale ed estivo, in corrispondenza all’incirca dei punti intermedi (Nord-Est, Nord-Ovest, Sud-Est, Sud-Ovest), appartiene non solo alle civiltà megalitiche nord europee – si pensi a Stonehenge in Inghilterra – ma anche e soprattutto alle civiltà della Mesopotamia e dell’Egitto. Nell’antica scrittura cuneiforme dei Sumeri, ad esempio, il segno più arcaico per indicare il cielo era un asterisco con otto raggi. Gli antichi davano grande valore soprattutto ai solstizi, al “declino” e alla “rinascita” del sole non solo per regolarsi con le attività agricole, ma anche per la propria visione esistenziale e religiosa. Nel giorno del solstizio d’estate, il sole, fondamentale divinità per tutte le civiltà, è alla sua massima potenza stagionale e nel suo percorso diurno tocca sette degli otto punti più importanti dell’orizzonte celeste: nord-est all’alba, est, sud-est (alba del solstizio invernale), mezzogiorno, sud-ovest (tramonto del solstizio di dicembre), ovest e nord-ovest al tramonto sempre del solstizio di giugno. L’ottavo punto, il nord, oggi occupato dalla Polaris dell’Orsa Minore, è il luogo delle stelle circumpolari, quelle che ruotano attorno al polo nord celeste e non tramontano mai, anche se visibili solo di notte. Gli antichi dunque aggiunsero anche il nord ai sette punti solari poiché anch’esso aveva il significato di eternità ed immortalità, e svilupparono tra i tanti simboli religiosi di buon auspicio anche quelli legati al numero otto. Si pensi ad esempio alle rosette ad otto petali che adornano ipogei ed epigrafi dedicate ai defunti, con significato di eternità e augurio di rinascita.
A Roma ad esempio a due passi dal Colosseo, nell’area dei Fori Imperiali, si trovano i resti della Domus Flavia cioè la villa di Domiziano imperatore romano dall’81 al 96 d. C. Tra le sue rovine vi è quanto rimane di una fontana ornamentale di forma ottagonale i cui muretti bassi riproducono un labirinto con cinque corridoi. Il significato simbolico riguardava naturalmente i buoni auspici e la buona fortuna per tutti coloro che dimoravano nella residenza dell’imperatore.
Come nel caso della torre di Atene, anche i successivi monumenti ottagonali sia dell’antichità come dell’età medievale presentano spesso i loro lati orientati (con più o meno precisione) ai quattro punti cardinali ed a quelli intermedi. Qualcuno come il Battistero di Parma è orientato non tramite i lati ma gli angoli (o spigoli). Anche i lati della Torre di Enna non si presentano attualmente perfettamente orientati. Ma la sua forma ottagonale richiama il medesimo significato simbolico, anche se rimane un mistero il motivo per cui venne adottata in una struttura laica con funzioni militari – al pari del resto dell’adozione di un’architettura ottagonale anche per il più famoso Castel del Monte, altro enigma ancora senza risposta.
La Torre di Federico II si trova ad Enna “alta”, nella parte superiore della “Villa Torre di Federico” in via Torre di Federico, non troppo distante dal bus terminal. L’ingresso è a pagamento (prezzo attuale – anno 2019 – 2 euro a persona).
Testo di Ignazio Burgio. Le foto sono state scattate da Ignazio Burgio, all’infuori dell’immagine della Torre dei Venti di Atene proveniente da Wikipedia. L’immagine di Federico II, tratta da una miniatura medievale, proviene da Wikipedia.
Bibliografia.
Alberti, S. A. – Enna. La Torre di Federico – in: AA. VV., Federico e la Sicilia, dalla terra alla corona, Arnaldo Lombardi Editore, p. 561 e sgg.
Drago Beltrandi, A. – Castelli di Sicilia – Brancato Editore.
Ganci Battaglia G., Vaccaro G. – Aquile sulle rocce – Edizioni Mori.
Magli G. – Misteri e scoperte dell’Archeoastronomia – Newton Compton, p. 48.
Marisa Uberti – L’architettura cistercense – in: www.duepassinelmistero.com






Tributo alla stupidità dei motori di ricerca. Il mio plugin wp per motori di ricerca mi dice che per indicizzare al meglio questo articolo devo inserire almeno -6- volte la frase chiave “La Torre di Federico ad Enna”. Dunque al fine di evitare che l’articolo si possa indicizzare male se non si trova la frase la Torre di Federico ad Enna penso che sia opportuno inserire un certo numero di volte la frase la Torre di Federico ad Enna all’interno di questo testo. Ma al fine di non banalizzare lo stile di questo articolo (assolutamente non commerciale) ripetendo fino alla noia la frase la Torre di Federico ad Enna, ritengo sia meglio aggiungere alla fine la suddetta frase – la Torre di Federico ad Enna, appunto – nascondendo il tutto alla vista dei pazienti lettori. Spero che in tal modo il mio plugin sia soddisfatto di aver trovato la frase in questione – la Torre di Federico ad Enna, ovviamente – e non si lagni più. E spero che i lettori non leggano mai questo testo, perchè è perfettamente inutile.