Pina Menichelli, diva messinese del cinema muto

di Franco La Magna,
(tratto dal volume di recente pubblicazione: “STORIA DEL CINEMA IN SICILIA (1895-1931)”, ALGRA Editore, 2024, pp. 296-299).
Vita e carriera di una famosa attrice messinese dell’epoca del muto, protagonista del fenomeno del divismo.

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Pina Menichelli diva messinese del cinema mutoNonostante la copiosa presenza di pregevoli compagnie teatrali siciliane, sorte tra la fine dell’800 e i primi anni del XX secolo, il passaggio o il prestito delle attrici siciliane alla nuova meraviglia del cinema, non è in realtà così massiccio e consequenziale. Anzi per quanto la fama e il successo delle pièces teatrali abbia indubbiamente determinato un’attenzione della settima arte nella direzione della trasposizione della rappresentazione teatrale in film, tra le attrici siciliane di teatro di definitivo abbandono del palcoscenico per il cinema si conta, per quanto clamoroso, solo un caso, quello di Pina Menichelli (Castroreale, Messina, 1890-Milano 1984) una delle grandi dive del cinema muto italiano. Figlia d’arte (il padre Cesare e la madre Francesca Malvica erano attori girovaghi) a 17 anni entra a far parte della compagnia di Flavio Andò e successivamente in quella di Emma Gramatica. Sposatasi a Buenos Aires (1909) con Carlo Pica un giornalista, da cui ebbe due figli, dopo averlo lasciato rientra in Italia. Notata dalla Cines inizia a lavorare per il cinema, interpretando con successo film da protagonista e coprotagonista. Diviene nel cinema la tipica seconda donna, donna fatale, minacciosa, dominatrice che divora e uccide, ferale personaggio che le cuce addosso Giovanni Pastrone. Passa dalla Cines alla Itala, con una paga stratosferica, mentre la sua fama continua a crescere clamorosamente.
Dopo i primi film del 1913, tra cui Il romanzo, regia di Nino Martoglio, con Il fuoco (1915) di Giovanni Pastrone (abbigliata come «donna gufo») e Tigre reale (1916) di Piero Fosco (alias Giovanni Pastrone) tipico «diva film», tratto dal romanzo di Giovanni Verga – il cui nome viene furbescamente anteposto (così come per Cabiria) a quello del regista in un tempo in cui il ruolo del direttore dell’esecuzione si è già abbastanza affermato come creatore dell’opera cinematografica – la sua fama si consolida fino a farne una delle primissime primedonne del cinema italiano, in un clima di esagitato divismo. Il regista-produttore torinese Pastrone accentua i tratti di femme fatal dell’attrice siciliana, contribuendo da allora a trasformarla nel prototipo della lussuriosa femmina dannunziana che manda in deliquio i suoi fans. Lavora anche durante gli anni del primo conflitto mondiale (La trilogia di Dorina e Una sventatella, 1916, regia del siciliano Gero Zambuto), quindi nel 1918, ancora per la regia di Gero Zambuto gira La passeggera, La moglie di Claudio, L’olocausto. Finito il conflitto mondiale nel 1919 continua la carriera fino al 1923, lavorando soprattutto per la Rinascimento Film, tentando (senza troppo successo) di costruire un personaggio diametralmente opposto a quello con cui aveva conquistato un enorme consenso popolare (Il romanzo di un giovane povero, L’età critica, La seconda moglie, La donna e l’uomo, La dama de Chez Maxim’s, La biondina, tutti diretti da Amleto Palermi).
Pina Menichelli costituisce uno dei più singolari fenomeni di emulazione collettiva, costantemente imitata dalle ragazze, mentre le madri viceversa continuano a disprezzarla come donnaccia e fonte perenne di corruzione morale. Dopo la morte del primo marito, sposatasi una seconda volta con il barone Carlo Amato che per lei aveva creato la Rinascimento Film, si ritira definitivamente dalle scene nel 1924, per non apparire mai più sugli schermi rifiutando ostinatamente per tutta la vita di rilasciare interviste e riapparire in pubblico, alimentando così il mito della diva irraggiungibile. Dopo il successo de Il fuoco e Tigre reale scoppia nel mondo intero il fenomeno del «menichellismo», termine coniato da un giornalista che (inequivocabile segnale di clamoroso successo) ne trasforma il cognome in aggettivo. Il cinema delle dive, «un esercito di “Eve fatali”, di Pandore, di Lucrezie, di “Tigri reali”, di donne serpente, gufo o avvoltoio, di “Signore delle camelie” […]» (Gian Piero Brunetta, Cent’anni di cinema italiano, Bari, 1991, p. 98) che non poco contribuirà al disastro di quello nazionale, considerato fonte di disfacimento etico e prostituzione con i suoi epifenomeni di emulazione endemica, continua fatalmente ad attrarre soprattutto le ragazze dei ceti popolari, che sognano di imitare questi irraggiungibili simulacri, tentandone maldestre e ridicole imitazioni.

In ottobre, una rivista di Città del Messico pubblica un articolo in cui il cronista Hipòlito Seijas commenta il rilevante fenomeno d’attualità a cui dà il nome di «menichellismo». Testualmente il «menichellismo» è descritto come una malattia, un caso clinico che deriva da una passione smodata per il cinema, forse effetto della carenza di generi di prima necessità che spinge la folla a compensare la fame con il piacere del cinema. Le madri proibiscono di andare a vedere «la donnaccia» e le figlie lavoratrici infrangono il divieto di nascosto, tornano più volte al cinema dove si proietta Il fuoco […]. (Cristina Jandelli, Le dive italiane del cinema muto, Palermo 2006, pp. 203-204).


Ma per comprendere ancor più il singolare fenomeno dell’adorazione divistica del pubblico e perfino della critica è utile riportare un brano del critico Angelo Menini della rivista «Film», il quale folgorato dalla visione della proiezione di Tigre reale così esprime tutta la sua adorazione nei confronti della miracolosa apparizione della Menichelli, perfino sognata e vagheggiata tra foreste e tigri:

Ti vidi, piansi con te, fremetti di gioia con te, tigre reale, e quando la realtà tornò, quando la figurazione indicibile scomparve sentii nell’anima come l’amarezza di un sogno troppo presto svanito… Tornai al rumore di una via e la luce fredda e lattea della civiltà m’offese la retina che ancora ti vedeva… Tigre reale, stupendamente bella e stupendamente feroce, quella notte ti sognai e rividi ancora le foreste vergini, le terre dalle sette sanguinose: rividi ancora gli spessi canneti, le linee e le tigre reali che laidamente e supinamente prone coi fianchi, tesi come un arco, ed il respiro chiuso nella bocca rossa attendono la preda. (Cristina Jandelli, cit. pp. 202).


L’ultimo film appare quando già si è definitivamente ritirata dalle scene letteralmente blindandosi a vita privata alimentando miti e misteri della grande diva:

Nel 1924 la morte del primo marito scioglie Pina Menichelli dal vincolo matrimoniale e le permette di convolare a seconde nozze con il barone Carlo Amato che per lei ha fondato a Roma la Rinascimento Film […]. L’attrice si risposa, abbandona il cinema e si ritira a vita privata con il titolo di baronessa. L’antico blasone rinnegato dalla nuova famiglia d’arte è riconquistato in via definitiva, e senza pentimenti da parte della donna che per anni ha infiammato le platee internazionali sullo schermo. Il dovere di dimenticare diventa la parola d’ordine, da quel momento in poi, nella vita di Pina Menichelli. La ripete anche un anno prima della morte a Vittorio Martinelli che cerca d’incontrarla inutilmente. Muore a Milano il 29 agosto 1984 senza che ne sia data notizia. (Cristina Jandelli, cit. pp. 206).


Di Pina Menichelli un icastico e sintetico ritratto che sottotraccia rivela la capacità seducente del cinema di fabbricare da subito miti intorno a queste inarrivabili divinità, lo fornisce ancora Brunetta che ne mantiene una dimensione tutt’altro che leggendaria, attribuendole al contrario una intelligenza artistica per spogliarla d’ogni alone di inaccessibilità e restituirle la giusta dimensione umana:

Nella realtà Pina Menichelli, minuta, bionda, con gli occhi chiari e un naso aquilino, avrebbe potuto benissimo passare inosservata. Senza mai pretendere di diventare diva e usurpare il trono delle regine in carica, Giuseppina Menichelli, è stata un’attrice moderna, dotata di un’intelligenza dei poteri della macchina da presa superiore a quella delle stesse Bertini e Borelli. Mentre costoro si consideravano le vere autrici del film, Menichelli capisce l’importanza del ruolo del regista e dichiara la sua completa disponibilità ad assoggettarsi sia alla sua volontà che al potere della macchina da presa. (Gian Piero Brunetta, Cent’anni di cinema italiano, cit., p. 109).



Si ringrazia Franco La Magna, storico del cinema e critico cinematografico, per questo articolo tratto dal volume “Storia del cinema in Sicilia (1895-1931)”, ALGRA Editore, Viagrande (Catania), 2024, pp. 296-299. La foto, tratta da Wikipedia, ritrae Pina Menichelli in un fotogramma del film “Tigre Reale”. Brano pubblicato su questo sito web il 29 settembre 2024.

Pagina web di Franco La Magna: Parlando di cinema in Sicilia

Per saperne di più sull’epoca del cinema muto in Sicilia:


Pina Menichelli
STORIA DEL CINEMA IN SICILIA (1895-1931)
di Franco La Magna
Algra Editore
Pagine 545

Pina Menichelli
La SFINGE DELLO JONIO. Catania nel cinema muto (1896 – 1930)
di Franco La Magna
Algra Editore
Pagine 356

Pina Menichelli

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